
Vi ricordate il Bauhaus? Si, proprio quello delle geometrie archetipiche e dei pittogrammi perfetti, il feticcio con cui tutti i designer grafici riempiono i loro wet dreams. BauAhhh! è la sua mutazione degenere: un overdose di dopamina, contrasti cromatici e un serpeggiante disordine che si insinua attraverso rigide geometrie. Come per il Bauhaus dei tempi di Schmidt e Moholy-Nagy, l’astrazione del mondo osservato genera un dizionario grafico che allude, suggestiona, si ricombina, dialoga, ma che questa volta lo fa col piglio svincolato, iconoclasta e “irresponsabile” della digital art, imbevendosi di simbologie contemporanee e concedendosi irrispettose divagazioni semantiche, pur sempre nella razionale griglia grafica che tutto regola e comanda: convivenza forzata tra la necessità di ordinare, definire e sintetizzare e il massimalismo visto come unico espediente perché l’informazione non subisca l’iperstimolazione visiva che la cultura digitale ha ormai imposto.